Il podcast "Etruskey" è un viaggio avvincente alla scoperta della cultura antica degli Etruschi.
La prima puntata, "Terra dei Re", esplora la loro eredità culturale e territoriale attraverso la Necropoli della Banditaccia, che fornisce informazioni sulla vita degli Etruschi e sulla struttura delle loro società.
La seconda puntata, "Incanto del Sole", invece, ci porta alla scoperta dell'enogastronomia etrusca, con piatti tipici come l'acquacotta e il castagnaccio, che ancora oggi caratterizzano la cucina locale.
Benvenuti nella seconda puntata del podcast Etruskey (pronuncia “Etruschì”) dal titolo “Incanto del sole”, un viaggio alla scoperta dell’enogastronomia etrusca intesa come tratto distintivo dell’ospitalità e della cultura del territorio. E tra pascoli e coltivazioni protette, cantine e vini, olio extravergine d’oliva e prodotti tipici, scopriremo ciò che rende unico il patrimonio enogastronomico dell’Etruria meridionale, il luogo in cui, fin dall’antichità approdano i sapori del mondo.
Il nostro viaggio del gusto inizia con la scoperta di un piatto che accomuna tutto il territorio dell’Etruria meridionale: l’acquacotta, una particolare zuppa che ha rappresentato per secoli il pasto quotidiano dei mandriani della Tuscia, famosi con il nome di Butteri. Un piatto povero preparato con i prodotti della terra che erano disponibili al momento e che, come base, aveva il pane raffermo. Altri ingredienti fondamentali erano le erbe aromatiche che si potevano reperire facilmente nelle campagne, come la mentuccia e il timo. Questa è fondamentalmente la base più conosciuta per la realizzazione dell’acquacotta, ma poi ogni località ha la sua versione “rivisitata”. Ancora oggi, le osterie tradizionali hanno nel menù questo piatto. L’acquacotta con la cicoria è senza dubbio quella più tradizionale e va fatta cuocere possibilmente in una grossa pentola di coccio riempita di acqua salata insieme alla mentuccia, alle patate tagliate in quattro parti, la cipolla a fette, l’aglio, l’olio extravergine e l’immancabile peperoncino che dona vivacità al piatto.
Ma vediamo quali sono le produzioni del territorio, le ricette tipiche e i piatti da non perdere.
La prima tappa del nostro viaggio è Allumiere, un comune che si trova sui rilievi della Tolfa. Siamo a 522 metri di altitudine sopra il livello del mare e qui la produzione di grano duro è un segno distintivo, accompagnato dalla produzione di ciambelle al vino, miele, tartufi, funghi porcini e castagne. Proprio le castagne, in questa zona, hanno una storia antichissima: un tempo erano chiamate pane d'albero, ed erano una risorsa insostituibile per i contadini della zona, un valido pranzo quando scarseggiavano le altre materie prime. Le castagne hanno senza dubbio costituito un elemento importante nell'alimentazione della popolazione locale e, combinate con altri alimenti, davano origine a piatti diversi, tant’è che oggi una delle pietanze tipiche di Allumiere è un dolce preparato proprio con le castagne. Il castagnaccio. Il castagno forniva anche altri benefici, come la legna per costruire o per accendere il fuoco e la possibilità di sfruttare i castagneti come terreno per far pascolare gli animali. Oggi il vasto territorio di Allumiere - circa 7.000 ettari - è leader nella produzione di agricoltura e allevamento biologico. L'enorme produzione di grano duro biologico ha reso possibile,poi, la realizzazione e la commercializzazione del tradizionale pane giallo, un particolare tipo di pane che viene cotto in forni a legna rispettando la tradizione medioevale e assicurando al prodotto un gusto unico, che ha saputo conquistare anche i palati degli americani, dove oggi il pane giallo viene esportato e commercializzato in diversi Stati.
Spostandoci verso Viterbo, andiamo a Barbarano Romano, il comune che sorge in una delle più importanti aree archeologiche dell’Etruria meridionale. Qui le terre coltivate si intervallano ai pascoli e alle aree più selvagge, in cui non è difficile trovare ripide pareti di tufo che superano i cento metri d’altezza. Si ipotizza che questo sito sia stato, in età preistorica, sede di un villaggio dell’Età del Bronzo, mentre nel periodo etrusco il nucleo abitativo di Marturanum si stabilì proprio in questa zona. Notizie certe del suo insediamento si hanno a partire dai tempi del Medioevo. In questo periodo, la città fu oggetto di contesa tra Roma e Viterbo e nel XIV secolo divenne prima feudo degli Anguillara, poi degli Orsini e successivamente dei Borgia nel XV secolo. Tra storia e contemporaneità, nel silenzio e nella tranquillità di questi vicoli medievali spiccano i sapori della cucina etrusca che da secoli soddisfa gli appetiti più generosi dei butteri e dei cacciatori, con piatti a base di carne, ma anche di formaggi e frutta secca come le noci. Proprio con le noci realizzano ancora oggi uno dei dolci tradizionali della zona, la Nociata, ricoperto di foglie d’alloro.
A Barbarano le tradizioni sono molto importanti e si celebrano con feste a tema. La prima domenica di maggio, per esempio, ce n’è una che è dedicata proprio al cibo. Si chiama l’Attozzata e consiste nella preparazione della ricotta in vecchi recipienti chiamati “callare” poste su fuoco vivo dai pastori della zona. La ricotta, ancora calda, poi viene servita su “tozzi”, ovvero pezzi di pane di grano duro.
Spostandoci nel comune confinante a Barbarano Romano, arriviamo a Blera, sempre in provincia di Viterbo. Blera è soprattutto una città etrusca prima di essere romana, da qui passava la Via Clodia, la strada che collegava la Cassia e l’Aurelia, consentendo rapidi trasferimenti di truppe ma ancor più scambi e commerci di cui in parte beneficiava la stessa Blera. Qui sono numerosi gli insediamenti etruschi ancora visibili e visitabili, come la Necropoli di Pian del Vescovo e la Necropoli della Casetta.
La cultura del vino e dell’olio a Blera è sacra, tanto che ogni anno si svolge la tradizionale festa del vino e dell’olio novello, in cui gruppi itineranti e artisti di strada percorrono le vie del paese portando in scena gli eventi più importante della tradizione del posto. Ma tra le primizie tipiche del posto, non si può che menzionare il tartufo, in particolare il Bianco d’alba e il Nero di Norcia. Tra i piatti tipici c’è infatti lo Stratto al Tartufo, ovvero una pasta lunga, simile ai lombrichelli, con una spruzzata di tartufo che nella sua semplicità fa profumare e dona consistenza al piatto.
Rimanendo in tema di tradizioni, soprattutto legate alla qualità dell’olio ci spostiamo a Monte Romano, la città posta tra i monti Cimini ed il mare, tra la Maremma e Roma, e famosa per la produzione della carne maremmana e dell’olio extra vergine di oliva. Monte Romano dista pochi chilometri da Tarquinia e con lei divide la storia del luogo, le tradizioni e l’enogastronomia, ma grazie alle impervie ed ostili colline, a Monte Romano si è sviluppato l’allevamento delle mucche maremmane da cui la Sagra che si celebra ogni anno nella seconda metà di agosto. Queste mandrie, un tempo governate dai butteri a cavallo, rappresentano la più grande ricchezza del paese, infatti il taglio e la frollatura di questa carne, eseguita da persone esperte, costituisce una vera e propria arte che viene trasmessa negli anni di padre in figlio. La loro carne, dal sapore unico, è senza dubbio uno dei fiori all’occhiello della cucina italiana amata in tutto il mondo.
Circondata da prati verdissimi e panorami unici, Tolfa è un piccolo comune tra le colline dell’Etruria, poco distante da Civitavecchia. In questo borgo sono stati documentati resti archeologici dell'età della pietra, del rame e del bronzo. E, se oggi è una meta di gita fuori porta di tanti romani, in antichità venne riconosciuto come proprietà della Santa Sede. Tolfa è quindi un paese ricco di storia, dove si respira aria pulita e si mangia bene. La cucina tradizionale di Tolfa viene comunemente definita “cucina povera”, una cucina che affonda le proprie tradizioni in quella etrusca e romana, con piatti semplici poco elaborati ma ricchi di sapore, come le zuppe di cipolla e pomodoro o la panzanella, composto dal pane giallo di Tolfa, pomodorini, sale, acqua e olio d’oliva. Alcuni avventori sostengono che qui si mangia la migliore acquacotta, ma per gli abitanti della zona il fiore all’occhiello è il baccalà in agrodolce con cipolla, uva passa, quarti di mela essiccati, prugne secche, visciole secche e peperoncino. Bisognerebbe provare per credere, anche perché questo è un territorio in cui la carne, tra bistecche e salumi, fa da padrona.
Spostandoci sulla costa, invece, arriviamo a Ladispoli. Prima dell’arrivo dei romani, fu territorio del dominio di Caere, oggi conosciuta con il nome di Cerveteri, una tra le più potenti città di tutta la storia etrusca. Oggi Ladispoli, superato il suo primo secolo di vita, è diventata una delle più grandi città del Lazio, in cui la storia ha lasciato i suoi segni. Qui, infatti, si possono visitare sia le necropoli etrusche di "Monteroni" e di “Vaccina”, sia le antiche ville romane risalenti al III secolo a.C. Tra storia, eredità e paesaggi vista mare, anche l’enogastronomia è ricca di piatti tutti da scoprire e dove il mare si unisce alla montagna, con ricette a base di materie prime e prodotti sempre freschi e genuini. Piatti che hanno molto in comune con la tradizione romanesca. E a proposito di questo, forse non tutti sanno che Ladispoli è la terra del carciofo romanesco, celebrato ogni anno con una sagra capace di attrarre moltissimi visitatori, anche stranieri. E a propositi di carciofi, a Ladispoli c’è un luogo comune da sfatare: quello che carciofi e vino sono incompatibili. L’impossibilità di abbinamento ha un fondo di realtà, ma non è una verità assoluta e priva di eccezioni, soprattutto per gli amanti della cucina rivisitata e più sperimentale. Un abbinamento ben scelto può valorizzare infatti il gusto unico dei carciofi senza attenuarne il sapore, cosa che spesso fa consigliare l’acqua.
Proseguiamo il nostro viaggio attraverso i sapori dell’Etruria meridionale alla scoperta dell’enogastronomia di Cerveteri. Qui alcuni documenti attestano che si produceva il vino già al tempo degli etruschi. E oggi, tra parchi archeologici patrimonio dell’Umanità, come la Necropoli della Banditaccia, e i musei, un elemento che caratterizza il territorio sono sicuramente le tante cantine. Ci sono molti piatti che descrivono questa cucina, ricca di condimenti e in prevalenza a base di carne, ma tra tutti c’è un piatto, o meglio, un dolce che è passato alla storia. Si chiama mostacciolo e prende il nome dal latino “mustaceum” che indica un dolce fatto con il mosto d’uva o comunque con il succo fermentato di un frutto. Già nell’antichità, i romani utilizzavano il mosto per fare dei dolci, facendolo bollire, oppure mettendolo fra gli ingredienti dei biscotti.
Inizialmente il mostacciolo era un biscotto romboidale tipico della vendemmia che con il tempo si è trasformato in un dolce tipico natalizio grazie all’aggiunta di cioccolato, fichi secchi e mandorle. C’è persino una antica leggenda sui mostaccioli e parla di San Francesco: pare che i biscotti sarebbero nati dalle mani di Jacopa de’ Settesoli che, essendo molto devota, decise di prestare il suo aiuto alle opere buone dei frati ed intrattenne una lunga amicizia proprio con San Francesco. E sempre secondo la leggenda, pare che in punto di morte San Francesco chiese a Jacopa di portargli i suoi famosi dolci.
Per sentire il profumo di pane fresco e appena sfornato, Canale Monterano è il luogo ideale da visitare, dove il pane costituisce l'identità di questo territorio e il valore di una grande cultura del fare le cose bene. Infatti, da oltre quattrocento anni a Canale il pane si fa seguendo antiche ricette di mastri fornai: farine eccellenti, lievito madre, acqua, forno a legna e niente sale. Ma se pensate che ad ogni angolo della cittadina si trovano quantità infinite di pane e panelle forse potreste essere delusi, ma non troppo. Perché qui la filosofia che seguono è che per far bene le cose occorre tempo, dedizione, sacrificio e sapienza. Un grande pane si fa col fuoco della passione e a Canale Monterano gli ingredienti ci sono davvero tutti.
Per le produzioni di ortaggi, invece, le più significative interessano il comune di Tarquinia e le produzioni maggiori riguardano i pomodori, gli asparagi, i finocchi, l’aglio e il carciofo romanesco, dalla caratteristica forma tondeggiante, privo di spine e dal colore verde-violaceo. L’olio di oliva di Tarquinia, prodotto dalle olive tipiche della zona di varie qualità, presenta un basso grado di acidità e un sapore dolce ed equilibrato. In questo comune sono presenti anche vitigni di Trebbiano toscano, la Malvasia, il Sangiovese, il Montepulciano, che sono alla base della produzione dei vini Tarquinia DOC. L’allevamento di vacche maremmane e vitelli fornisce carni di notevole qualità. Immancabili sulla tavola e localmente prodotti sono i salumi, come il capocollo e la lonza, e i freschissimi formaggi, come le ricotte, le giuncate e le caciotte. Tra le ricette tradizionali abbiamo la frittata con asparagi selvatici, e molte altre ricette hanno alla base prodotti che crescono nella macchia tarquiniese, come anche il fungo ferlengo.
Spostandoci più a nord troviamo Montalto di Castro, dove la coltivazione di asparago verde la fa da padrone, tanto da essere considerato un must della stagione primaverile.
A rendere “speciale” questo prodotto è il suo colore verde brillante, ma soprattutto l’assenza della parte legnosa che in genere si scarta. Infatti si chiama anche mangiatutto viene prodotto esclusivamente a Canino, Montalto e Tarquinia.
L’enogastronomia di questo borgo della Maremma Laziale conta numerose coltivazioni tra cui quella dei meloni particolarmente dolci, succosi e profumati, tanto che vi è una sagra dedicata.
Infine, vi è la produzione di ortaggi, tra cui fagioli, lattuga romana, spinaci, bietole.
A pochi chilometri da Montalto abbiamo Civitavecchia, dove molto forte e viva è la presenza della pesca. Una tradizione tramandata nel tempo, quella dei locali di acquistare il pesce fresco dal pescatore di fiducia, appena rientrato in porto. Il piatto tipico è “La zuppa di pesce civitavecchiese”. Si fa soffriggere aglio, abbondante olio e peperoncino; poi si mette il polpo e si aggiunge un pò di vino; si uniscono poi il pomodoro a pezzi e il prezzemolo. A questo punto si mette nel tegame il pesce che necessita di una cottura più lunga (spannocchie, cappone, scorfano, coccio, ecc.); si aggiunge il brodo di mazzumaja e si porta a ebollizione. Per ultimo si aggiungono i pesci più teneri (sarago, fraulino, ecc.) e i frutti di mare; si aggiusta di sale e si termina la cottura. Il piatto si serve con crostini di pane fritto.
Dolce tipico del periodo natalizio sono “le biscottine di Civitavecchia”, una sorta di biscotto dall’inconfondibile forma ottenuta tagliando obliquamente i panetti lunghi ottenuti con farina, burro, zucchero, uova, nocciole, mandorle, vaniglia, cioccolato fondente a pezzi, scorze di limone e arancia, sambuca.
Infine la “pizza di Pasqua o pizza di Civitavecchia”: dolce tipico del periodo, utilizzata nella colazione di Pasqua per accompagnare le uova sode ed i salumi. Gli ingredienti oltre a farina, zucchero, uova, burro, ricotta di pecora, semi di anice, cannella, vaniglia, mosto, vino o sambuca o altri liquori tipo alchermes, marsala e infine il lievito madre.
Per degustare il pescato locale e i piatti che ne derivano, Santa Marinella è sicuramente un’altra meta molto ambita del litorale, dove i ristoranti della città propongono vari piatti del territorio, sia di carne che di pesce, anche se quest’ultimo è il prodotto maggiormente ricercato. Il riccio di mare è il prodotto per eccellenza, tanto che gli spaghetti con i ricci costituiscono uno dei piatti maggiormente richiesti. Il Pescato locale, come orate, spigole, merluzzi e polpi è acquistato abitualmente al porticciolo di Santa Marinella, al lato dei pescherecci, e rappresenta l’ingrediente principale della cucina di mare.
Il nostro viaggio del gusto termina qui, tra profumi e suggestioni, tra tradizioni e rivisitazioni di un’Etruria ancora viva. Consapevoli che la storia di un territorio è scritta nei suoi luoghi, nelle modifiche che l’uomo ha apportato. È scritta nelle parole di chi l’ha raccontata e nelle immagini di quelli che hanno voluto fissare i loro ricordi. Ma c’è un pezzo di storia anche nei piatti che celebrano la tradizione e rispecchiano i valori di un territorio, unico, come il nostro.